“I dieci anni di Marco fanno male, e tanto. È tanto quello che ha lasciato questo ragazzo, una traccia viva, un segno indelebile chi ama il motociclismo. La gente lo cerca ancora oggi nei ricordi. Quanto a noi, io, i familiari, abbiamo cercato di sopravvivere e siamo andati avanti. Oggi parliamo volentieri di lui. Rifaremmo tutto, pur sapendo com’è finita. Marco è stato e rimarrà speciale”. Non poteva che cominciare da quella maledetta domenica a Sepang, dall’incidente mortale per “Supersic”, l’incontro al Festival dello sport con Paolo Simoncelli, papà di Marco, nonché team manager SIC58 Squadra Corse (campionato Moto3), e il pilota della scuderia Tatsuki Suzuki. La data non è a caso: il 23 ottobre sono dieci anni dal Gran premio della Malesia che portò via il pilota romagnolo, celebre oltre che per il talento per i riccioli e la battuta pronta.
Al Muse l’incontro “Io sono leggenda” condotto da Paolo Ianieri va subito lì, dove fa più male. “Di fronte a questo anniversario il dolore è sempre grande – esordisce Paolo -. Molti mi chiedono cos’è successo nel frattempo. Abbiamo cercato io, la mamma Rossella e la sorella Martina di sopravvivere, ci siamo impegnati con la Fondazione, la Squadra corse e tanti altri progetti”.
Ianieri chiede a Tatsuki che immagine aveva di Marco da tifoso: “Mi dava l’impressione – racconta il pilota giapponese, trapiantato in Italia dove ha incontrato i suoi “genitori” italiani, appunto Paolo e Rossella Simoncelli – dell’aggressività e della voglia di vincere, mi dava quell’energia speciale. Aveva l’obiettivo di essere forte in pista. Dentro la pista era aggressivo, fuori sapeva scherzare”.
Per Paolo il figlio “è mancato nel momento migliore”: “Era entusiasta della crescita della cilindrata nella MotoGp, la moto se la sentiva benissimo. Avremmo visto dei duelli con Marquez in cui ci saremmo divertiti”. Sarebbe stato il degno erede di Valentino Rossi. Ora che il “Dottore” sta per lasciare l’agonismo, Paolo non vede tra gli italiani astri nascenti allo stesso livello: “Quel qualcosa che li accomuna è difficile da trovare”.
L’immagine più dura rimasta impressa a Sepang: “Mi ricordo – prosegue il padre – il silenzio assordante del paddock, ce l’ho ancora nelle orecchie. Poi l’abbraccio con Dani Pedrosa, uno dei suoi rivali più accesi. È stato eccezionale in quel momento, ancora oggi quando ci vediamo ci abbracciamo”.
Ma anche nei momenti più duri, incalza Ianieri, qualcosa di bello rinasce. La famiglia ha creato tanti progetti, la Fondazione, il centro per ragazzi disabili a Coriano, l’iniziativa per l’autismo, il progetto ad Haiti. “Fin dall’inizio la gente – racconta il padre – ci ha subissato di donazioni, poi è diventata una onlus, ogni anno con il 5 per mille raccogliamo tanti fondi. Le persone credono in noi. La sfida è spendere i soldi degli altri nel migliore dei modi”.
La chiacchierata piena di emozioni si chiude con lo sguardo rivolto al futuro. A breve Suzuki lascerà la scuderia dove è stato di casa. “Io sulla maledetta curva di Sepang ho promesso di vincere per Marco, di salire sul podio in suo nome”, spiega il pilota. A lui il consiglio del team manager: “Tatsuki deve fare la sua strada – conclude Simoncelli -. Lui è velocissimo e non ha quel carattere aggressivo, ma penso che si toglierà comunque delle belle soddisfazioni”.