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Festival dello Sport, Sacchi e Lippi: maestri a confronto

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Per rompere il ghiaccio si è parlato di che cosa significhi essere sacchiani: “Per me l’importante è l’intelligenza, i piedi contano poco. Ancellotti lo presi con un 20 per cento di inabilità ad un piede. Serve il collettivo, un grande come Maradona non ha mai vinto una Champions”.

Lippi ha detto di aver voluto creare nelle sue squadre dei gruppi di lavoro: “Non cercavo i fenomeni ma ragazzi che si mettessero a disposizione della squadra. Il mio era un misto di organizzazione e di filosofia”. I due sono divisi da un mondiale vinto e perso per un rigore segnato da un gregario, Grosso, o sbagliato da una stella, Baggio.

Lippi: “Sotto questo aspetto il calcio, e’ vero, può essere ingiusto. Ma nella mia carriera sono arrivato tre volte in finale ai calci di rigore ed ho visto che si vince o si perde a seconda dello stato d’animo con cui si arriva a quel momento. Non è insomma solo una lotteria”.

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Sacchi: “Io giudico se una squadra dal fatto se ha dato, o meno, tutto quello che poteva. Il calcio è uno spettacolo, sul 4-0, se si ha birra si deve continuare ad attaccare per rispetto del pubblico. Non va bene, come nella vita, cercare di sopravvivere. Si deve muovere la squadra in modo sinergico. Anche in 10, come ci è capitato con delle espulsioni”.

I due grandi allenatori piu che un attimo vincente hanno fatto la storia. Sacchi: “I miei meriti? A chi si lamentava in allenamento dicevo che doveva farlo per potere dare serenità alle migliaia di persone. Una volta noi all’estero eravano spaghetti-mafia e catenaccio. Io almeno questo l’ho tolto”.

Lippi: “Io mi riconosco una coerenza di comportamento, ho trattato tutti facendoli sentire importanti e partecipi del progetto. Cosa non rifarei? Si lavora con delle intuizioni, ho sbagliato delle formazioni…”.

Sacchi ha aggiunto: “Non ho rimpianti ma volevo sempre fare di più e meglio è così lo stress mi ha consumato… Mi chiede se non ci sia più nulla di inventare? Il calcio si deve rinnovare, come per tutti gli sport. Oggi in Italia c’è più coraggio, anche nelle piccole società. Un trend che iniziò l’Empoli di Sarri. La mia favorita per lo scudetto. La Juve”.

Per Lippi la voglia di cambiare si vede ancora: “Ed è un bene. Il calcio oggi e globalizzato. La vera espressione del calcio italiano è la nazionale, nei club sono tutti stranieri. Ecco perché Mancini ha un merito enorme, ha rischiato mettendo in campo tanti giovani”.

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