A Parigi è arrivato all’ultimo atto della Champions league, una gara persa contro il Bayern. L’avvio opaco e le relazioni incrinate sono costate l’esonero a Tuchel.
Come si dice, però, chiusa una porta si è aperto un portone: il tecnico ha trovato un mese dopo una sistemazione: a campionato in corsa ha risollevato la stagione del Chelsea, ma soprattutto Tuchel si è preso diverse rivincite alzando nientemeno che la coppa dalle grandi orecchie nella finale tutta inglese di Champions contro il Manchester City di Pep Guardiola: “Come si vince una Champions in 4 mesi? Non so spiegarlo nemmeno io. Sin dal primo momento ho avvertito un sostegno enorme. Nel mezzo della Brexit e di un lockdown. Al Paris Saint Germain non c’è stata quella che io chiamo la quota fortuna, a questo livello i margini tra le squadre sono molto limitati. Si deve avvicinarsi day by day al progetto e la somma è meglio delle parti. Non è necessario cambiare formazione, lo si fa solo se lo ritengo necessario. La squadra può vincere anche senza coach, noi siamo direttori d’orchestra. La differenza la fanno i giocatori”.
Quali allenatori l’hanno ispirata? “Il primo è stato mio padre. Con gli anni mi ha ispirato nel gioco, sono grato a chi all’esordio mi ha trattato come un amico. Ho preso ispirazione da molti, ho guardato alle squadre belle da vedere. Sono stato contento di vedere il Barcellona di Guardiola, ho imparato sempre nuove idee. Surreale che ci siano i nomi dei più grandi alle spalle, ma non mi sento a mio agio a confrontarmi con questi famosissimi”,
E’ stato battezzato lo scienziato dello sport: “Finita la mia carriera di giocatore ho studiato economia, forse per questo. Ma nel calcio scienziato non è sempre positivo, sa un poco da nerd. Vero che al Chelsea abbiamo un grande supporto di dati ma io credo che in questo sport less is more, non esagerare con il tecnicismo. Il football è facile”
E’ più facile fare l’allenatore dopo essere stato un grande giocatore: “Mi sarebbe piaciuto essere un grande giocatore. Io ero un difensore, ho imparato la professione dai primi passi, allenando le giovanili”.
Dove trova Tuchel l’ispirazione per parlare ai giocatori? “Serve equilibrio, ho imparato e ora sono molto esigente. Tu devi essere affidabile, a me piace abbracciare i giocatori. Occorre essere amichevoli senza essere amici. I grandi giocatori debbono essere convinti di quello che gli si dice di fare, altrimenti non funziona. Poi anche le star sanno prendersi le proprie responsabilità, altrimenti non sarebbero arrivate a quel livello. E’ importante non perderli. Ho avuto momenti difficili in passato, anche nel Mainz, persino alle giovanili. Bisogna sentirsi forti, avere in primo luogo la società vicina. Ora al Chelsea si pensa al mercoledì e poi al sabato, si lavora bene perché mi sento al sicuro. Si impara tanto purtroppo dalle sconfitte: abbiamo perso con il Manchester City e con la Juventus. E questo mi fa rimanere sveglio la notte. Dopo due ko non è così semplice. Con la Juve? Poteva accadere, mi ha ricordato l’Atletico Madrid di un anno prima. Ci è mancata la concentrazione, troppi errori. Il risultato va messo nel contesto. Dobbiamo essere umili e rispettosi di tutti. Jorginho avrà il pallone d’oro? Lui è molto intelligente, ma sono sincero questi premi individuali sono davvero difficili da valutare, da assegnare. Non credo sia la cosa più importante nel calcio”.
Tuchel potrà diventare un allenatore del calcio italiano: “Sono tedesco, ora non posso desiderare di più sono al Chelsea. C’è una connessione tra noi e l’Italia, qui da voi e si respira calcio e sport e questo Festival lo dimostra”.