Quando gli ottomila erano un sogno, un lusso per pochi. Se qualche decina di anni fa per scalare le grandi montagne del mondo serviva un lunghissimo allenamento ed una estenuante preparazione fisica, oggi le vette più ambite sono diventate una meta per turisti.
E ciò che è peggio, ha spiegato Hervé Barmasse, è il fatto che anche gli alpinisti professionisti sembrano essersi adeguati alla situazione, comportandosi allo stesso modo di quelli con minori competenze.
“Personalmente, ho deciso di pormi l’obiettivo degli ottomila metri dopo un infortunio al collo – ha spiegato Barmasse – puntando a scalare la parete sud dello Shisha Pangma in stile alpino nel 2017, una cosa che nessuno aveva mai fatto ed è stata un avventura incredibile, straordinaria, anche se con il passare del tempo si è trasformata in una grande incertezza: arrivati ai 7.600 metri David Göttler voleva tornare indietro, ma alla fine in 13 ore siamo arrivati a 8.024 metri”.
E poi è arrivato il Nanga Parbat, nel dicembre del 2021, con la sua parete più grande del mondo ma purtroppo il meteo avverso, che ha impedito a Barmasse e Göttler di arrivare in cima, fermandosi comunque a 6.200 metri dopo aver superato la parte più complessa dal punto di vista tecnico ed aver sfidato i 50 gradi sotto zero.
Purtroppo ormai questi traguardi non possono più essere definiti “conquiste”, ha aggiunto l’alpinista, perché quasi chiunque può raggiungere una vetta molto ambita grazie alla tecnologia e alle comodità moderna.
Per chi come Barmasse ha scalato montagne storiche, come l’Himalaya, il mondo dell’alpinismo sta cambiando in modo rapido e, sfortunatamente, non in meglio. Ci sono villaggi ai piedi delle vette dove stanno attendendo di salire anche più di mille persone, ha evidenziato. Per non parlare degli elicotteri, anche sei o sette contemporaneamente, che portano le persone direttamente al campo 1 o campo 2 in modo veloce e comodo, ha aggiunto.
C’è poi il grande tema della “plastificazione della montagna“, sul quale si è soffermato Barmasse. Ogni anno sull’Everest vengono abbandonati seimila metri di corde di nylon che gli alpinisti non riportano a casa, ha sottolineato, e c’è solo l’idea di arrivare in cima, mettere la bandierina e dire “io ci sono stato”.
Ma ciò che viene abbandonato sulle montagne fa rabbrividire, ha confessato: manca completamente il rispetto per questo ambiente, si è creata una “bolla” dell’alpinismo dove tutto sembra permesso, senza principi etici.
Infine, un ragionamento sull’avventura nell’alpinismo: bisogna capire che la cosa più importante è il percorso e non il raggiungimento della meta, ha concluso Barmasse, e che in questo campo “avventura” significa mettersi in gioco, rischiare, vivere nell’incertezza e sfidare i propri limiti.