L’impianto sportivo Luigi Ferraris di Genova, ubicato nel quartiere di Marassi, è l’esempio per eccellenza di “stadio urbano”. E’ da ritenersi una delle arene più belle del Belpaese; la struttura architettonica condensa con dotta sapienza i caratteri distintivi della “Superba”.
Il toponimo Marassi si compone di due termini: mar di origine greca dal significato palude e asc nella lingua ligure che indica l’acqua. L’area significherebbe palude attraversata da corsi d’acqua incastonata alla foce del fiume Bisagno.
Per descriverla con le parole di Michele Vaccari: “Marassi, quartiere popolare, Marassi, l’esistenza ridotta a speranza urbanistica, Marassi, la realizzazione personale comprata con l’illusione della pacificazione abitativa, Marassi, apologia al parallelepipedo, Marassi, teatro di voci granitiche e meridionali, riposo obbligato per le genti dei porti, delle centrali elettriche, delle portinerie eleganti, dei sottoscala degli alberghi del centro, delle manifatture malpagate, delle edicole loculo, dei casalinghi in offerta, delle mense candeggiate, casa dei servi dei quartieri alti, Marassi, la felicità come consuetudine”.
Marasci, nel dialetto genovese, si sviluppa su una collina caratterizzata da strade tortuose nella forma, edifici accatastati a grappoli e percorsi trafficati. Il letto del fiume Bisagno (alterato dalla mano dell’uomo), il Carcere, il Cimitero Monumentale di Staglieno e lo stadio rappresentano le emergenze, i punti di riferimento.
Costruito nel primo decennio del Novecento per ospitare le partite casalinghe del Genoa Calcio e in seguito della Sampdoria, è il catino più antico d’Italia.
Negli anni Trenta l’anfiteatro calcistico prende il nome in onore del capitano genoano morto durante la Prima Guerra Mondiale sul Monte Maggio.
Il carattere tipologico è quello dello stadio anglosassone simile ai vecchi impianti urbani inseriti nel paesaggio cittadino inglese con le sue relazioni e connessioni.
A Vittorio Gregotti, architetto di origine novarese, milanese di adozione (venuto a mancare nel 2020), maestro del Movimento Moderno italiano, si deve l’accurato restyling eseguito in occasione dei Mondiali del 1990.
In poco più di 2 anni le maestranze, sotto la guida zelante e scrupolosa di Vittorio Gregotti, smontarono e ricostruirono i diversi settori mantenendo la storica facciata dell’ingresso principale.
La mano esperta del maestro Gregotti disegna, nell’occasione, un pezzo di città senza rinnegare il tessuto esistente, ma, al contrario, cercando la sintonia e mitigando l’impatto scenico in un’area complicata, fragile, con alta densità abitativa.
Il tracciato è rettangolare e compatto, le 4 torri angolari con i tiranti reticolari sostengono le coperture delle tribune e fungono da Landmark per la città.
Lo stadio è un volume ben definito dal colore rosso che s’integra con il sobborgo, le facciate con le sue fenditure si contrappongono silenziose e dialoganti nel lembo di terra del ”mugugno”.
Infine, riportiamo uno stralcio del libro “la città visibile” di Gregotti: “La città ha specializzato una serie di recinti per lo svolgimento di alcune funzioni: la sanità ospedaliera, l’istruzione universitaria, lo spettacolo sportivo. Rovesciare e contenere dentro al recinto lo spettacolo apocalittico della società di massa che nello stadio si rappresenta permette di far fronte all’esterno alla sua riutilizzazione come componente monumentale urbana”.
Lo stadio Luigi Ferraris, lo scrigno di Vittorio Gregotti: sintesi e coscienza di Genova.
Emanuele Perego www.emanueleperego.it www.perego1963.it