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Atletica

Tokyo, Tamberi e Jacobs oro olimpico

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100 uomini – Finale – Laddove non era riuscito Pietro, e nemmeno Livio, è arrivato Marcell. Un italiano sul gradino più alto del podio olimpico, nella gara più breve dell’atletica, sulla distanza sulla quale tutti sognano di cimentarsi.

Un trionfo che arriva meno di dieci mintui dopo quello di Tamberi, e ha la forza di un uragano. Perché Marcell Lamont Jacobs vince, strapazza gli avversari, e segna ancora il record europeo, 9.80, dopo il 9.84 della semifinale (e dopo il 9.94 della batteria, che era già stato record italiano). Una serie sontuosa, che ha fatto impazzire l’Italia nell’ora di pranzo di una bollente domenica d’agosto. Doveva “pizzicare” la partenza, Marcell.

E l’ha fatto, c’è riuscito, uscendo come un missile dai blocchi, e producendo un’accelerazione mostruosa. Fino a fare la lepre per tutti, fino oltre il traguardo. Dietro di lui, il vuoto. Lo statunitesne Fred Kerley è argento in 9.84, il canadese Andre De Grasse bronzo in 9.89. Un esito leggendario, che fa esplodere il tifo dei (purtroppo pochi) presenti, e scatenando il po-popo-po-po-poo-poo della squadra azzurra, compatta ad applaudire i compagni in questa giornata indimenticabile. 

Alto Uomini – Finale – 
E’ l’epilogo più bello, il più atteso e sognato. L’oro olimpico che si divide in due parti, e va al collo di Gianmarco Tamberi e Mutaz Barshim, gli amici di una vita in pedana, appaiati a 2,37. E l’Italia torna a vincere un oro olimpico, il primo in questa specialità, sancendo in maniera definitiva la rinascita di un movimento straordinario, fatto di migliaia di atleti, tecnici e dirigenti volontari, milioni di appassionati, che sono sempre stati lì. Gianmarco Tamberi oggi li rappresenta tutti, ha il tricolore sul petto, e porta avanti l’orgoglio di un Paese che ama questo sport, ma che aspettava da tanto, troppo tempo, un nuovo Rinascimento.

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Eccolo Tamberi, che piange, cinque anni dopo l’infortunio di Montecarlo, e l’appuntamento perso di Rio. Piangono in tanti con lui, stasera. Perché l’oro di Gimbo, è l’oro di tutti. L’inizio della finale olimpica vede il bielorusso Nedasekau sbagliare il primo tentativo a 2,19, e questa è già una notizia. Con lui, sbaglia anche il giapponese Tobe, anche se entrambi poi sbrigano la questione al secondo tentativo.

Tamberi dà una bella impressione, superando l’asticella con notevole ampiezza, dopo lunghi istanti di concentrazione a precedere l’avvio della rincorsa. Si sale a 2,24, e Barshim vola per primo oltre l’asticella, imitato poi da tutti gli avversari (incluso Tamberi, ancora molto reattivo, soprattutto nella fase di valicamento), a parte lo statunitense McEwen, che sbaglia due volte prima di riuscire nell’impresa. A 2,27 passano senza errori in 10 (con Tamberi), a 2,30 (sempre con il marchigiano) la pattuglia si riduce a sei, anche se tra gli inseguitori si cominciano a contare gli errori. Akimenko, Ivanyuk e Harrison ce la fanno alla seconda, Kerr alla terza, salutano il britannico Gale e McEwen. Tre centimetri in più, e si cominciano a perdere i pezzi. Il 2,33 di Mutaz Barshim è regale, Nedasekau ribalta la classifica e vola al primo tentativo, ma la notizia che più interessa è che c’è anche Gimbo. Il suo 2,33 alla prima ha un peso specifico già importante, perché restano solo in tre a non aver commesso errori.

Tutti gli altri inseguono. Il coreano Woo, il russo Akimenko, lo statunitense Harrison, ce la fanno alla seconda prova, l’australiano Starc alla terza. Fuori Ivanyuk, Kerr e il canadese Lovett. In sette per il podio. Barshim e Tamberi percorso netto, Nedasejkau terzo (per l’errore a 2,19), e via via tutti gli altri. Si passa a 2,35. L’aria si fa sottile, lassù. Ma Barshim non fa una piega. Ancora una volta, va oltre l’asticella al primo tentativo. Ma non è solo. Un altro atleta è ancora senza errori: è Gimbo Tamberi, stellare a 2,35. L’asticella si muove, ma lui atterra senza che venga giù dai ritti. Si avvolge letteralmente intorno alla barra, e poi la abbandona con tempi perfetti. Grandissimo. Questa volta, memore di quanto accaduto a Torun, esulta ma non si lascia andare. C’è ancora da fare, perché riescono anche Woo (alla prima, ed è terzo), e Starc (anche lui alla prima, quarto posto). Akimenko lascia un tentativo a 2,37, Nedasekau due (sinistro segnale). A 2,37 Barshim va ancora a segno al primo colpo. E chi altri ce la fa? Proprio il bielorusso, uno che il poker lo gioca (bene) anche in pedana.

400hs – semifinale – Strepitoso. Esaltante. Che altri aggettivi possono essere spesi per Alessandro Sibilio? Il napoletano si supera, ancora una volta, e corre una meravigliosa semifinale dei 400hs nell’occasione più importante della vita. E soprattutto, entrando nella finale olimpica dei 400hs, specialità gloriosa per i nostri colori, 21 anni dopo il Fabrizio Mori di Sydney 2000 (il livornese fu settimo, un anno dopo aver vinto il mondiale a Siviglia). Ritmica perfetta, giudizio, classe ma anche cuore, fioretto e sciabola, con un rettilineo finale alla Sibilio, come piace dire a chi gli vuole bene. Ne viene fuori un 47.93 stellare, ancora più seconda prestazione italiana di sempre, a meno di quattro decimi dal record italiano dell’icona Fabrizio Mori (47.54). Bella, bellissima la prova dell’italiano. Il brasiliano Dos Santos ed il qatarino Samba scappano via, come da copione; gli vanno dietro tutti, salvo Sibilio, che segue il suo spartito, fatto di cadenze regolari e calcoli matematici. All’attacco del rettilineo è sesto, ma è lì che la strategia comincia a pagare. Gli altri calano, e il nostro innesta il turbo, infilandoli tra le ultime due barriere e i 40 metri finali. Dos Santos fa 47.31 e centra il record sudamericano, Samba lo stagionale a 47.47, Sibilio è terzo in 47.93. Il suo è il sesto tempo assoluto, nella lista guidata dal norvegese Karsten Warholm (47.30). Appuntamento notturno per la finale: le 5:20 del mattino di martedì 3 agosto. 

100hs – semifinale – Applausi per Luminosa Bogliolo. La ligure è eliminata, non correrà la finale olimpica, ma riesce finalmente a far suo il record italiano, correndo in 12.75 (vento nullo), esattamente un centesimo meglio di quanto fatto da Veronica Borsi a Orvieto il 2 giugno del 2013. La gara racconta di una bella progressione dell’azzurra: avvio discreto, e una parte centrale e finale pienamente in ritmo, senza sbavature nel valicamento delle barriere. Il crono le vale il quarto posto nella sua semifinale, e si toglie anche lo sfizio di battere la britannica Tiffany Porter, una delle migliori specialiste continentali. Alla fine è tredicesima, con l’ultimo tempo di ripescaggio che è il 12.67 della statunitense Cunningham.

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