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Festival dello Sport, Cairo, Dal Pino, Boban, Tebas: il calcio che verrà

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Il calcio europeo delle quattro principali leghe nazionali (Premier, Bundesliga, Liga, Serie A) ha perso 5 miliardi di euro nell’anno e mezzo della pandemia.

Stadi vuoti e costi invariati per le società hanno messo a dura prova molti club anche vincenti e blasonati. Il tentativo – fallito – di costruire una Superlega per i superricchi è naufragato. Zvonimir Boban non ha dubbi:

«Si è trattato di un basso tentativo di far prevalere gli interessi di pochi. Un vergognoso atto di forza che rischiava di cancellare i 140 anni di storia del nostro calcio. La reazione popolare fortemente contraria ha detto tutto su quanto fosse inopportuno quel progetto».

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Per Boban la pandemia è stata solo uno dei problemi recenti del calcio: «C’è tanta irresponsabilità, che va fermata. Ma è destinato a fallire ogni progetto che non rispetti il calcio e i suoi tifosi. Il calcio è quello che è grazie al ruolo fondamentale delle piccole e medie squadre. Chiunque può vincere con chiunque».

Per aumentare i ricavi si tende a infarcire la stagione di competizioni e partite in più. Boban è nettamente contrario: «Non è accettabile. Nemmeno l’idea di un mondiale ogni due anni. I calendari sono già intasati e i calciatori devono avere il tempo di recuperare tra una partita e l’altra. Nessuna rivoluzione del calcio senza coinvolgere tutti».

Urbano Cairo individua tre punti per il rilancio del calcio sotto il profilo economico. Aumentare i ricavi riportando i tifosi allo stadio, in stadi accoglienti e accattivanti; aumentare i ricavi dalla vendita dei diritti televisivi all’estero; calmierare i costi, evitando super-ingaggi e che troppi calciatori si svincolino a parametro zero. Il presidente della Lega Serie A Dal Pino ha ribadito la necessità di dare presto gambe al progetto mediacompany della Lega (già pronto e attivo il centro broadcasting di Lissone) e spingere i club da una mentalità opportunistica a passare a una mentalità strategica. La Superlega non era la soluzione, ma qualcosa da trasformare per rendere il calcio sostenibile c’è.

Partendo da stadi più belli e di proprietà: «In Italia, se sei bravo e fortunato, impieghi dieci anni per realizzare un nuovo impianto; all’estero ne bastano due». Per Tebas, numero uno della Liga spagnola, bisogna tornare a riempire gli stadi. «I minori ricavi sono conseguenza di una congiuntura temporanea – ha detto – e non strutturale. Servono almeno tre stagioni, ma il calcio si riprenderà. Non serve un mondiale per club. In Spagna i procuratori non sono troppo pagati (dal 7 al 15% degli ingaggi del giocatore assistito) ma in altri campionati il loro peso diventa un problema». Insomma, per capire qual è il calcio che verrà, la considerazione di Boban che fotografa la situazione aiuta a tracciare una rotta: «Le società di calcio sono aziende, ma il calcio non è solo numeri. È anche emozione, competizione, socialità».

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