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Sport e regole: tre storie a confronto
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3 anni fail
Anna Muzychuk è una scacchista ucraina classe 1990 che nel 2012 ha ottenuto il titolo di Grande Maestro. La sua è una carriera eccezionale: la ragazza dimostra sin da piccola di avere un talento fuori dal comune e di essere una vera campionessa negli scacchi.
Ottiene numerose vittorie e titoli tra cui spiccano nel 2016 i Campionati del Mondo femminili nel rapido e nel lampo. Nel 2017 è chiaramente la miglior giocatrice di scacchi al mondo: inizia a prepararsi ed a gareggiare in vista dei Mondiali in Arabia Saudita dove dovrebbe difendere il titolo.
“Dovrebbe” perché alla fine Anna fa un passo indietro e rifiuta di partecipare ad una competizione dove deve essere coperta da capo a piedi e dove deve essere costantemente scortata. A nulla valgono i tentativi di mediazione con la Federazione dell’Arabia Saudita: lei non ci sta e non condivide il modo in cui le donne vengono trattate. Lei stessa rifiuta di sentirsi “meno” in quanto donna e rinuncia sia al difendere il titolo che al premio in denaro che avrebbe potuto ricevere. La sua è una presa di posizione forte e presto la giovane diventa un simbolo contro la disparità di genere.
Storia simile, in tempi più recenti, per il Beach Volley: lo scorso febbraio le star tedesche del beach volley Karla Borger e Julia Sude avevano iniziato un vero e proprio braccio di ferro con le autorità del Qatar per l’evento del FIVB World Tour. Inizialmente, infatti, alle atlete era stato vietato di indossare il costume durante le partite “per rispetto della cultura e delle tradizioni del paese ospitante”.
La decisione delle due era stata sostenuta dalla federazione tedesca di pallavolo DVV ed aveva fatto il giro del mondo in pochissime ore. Alla fine, questo “bikinigate” aveva visto la vittoria delle tedesche. Non era infatti pensabile ed equo far partecipare delle atlete in maglietta e pantaloni a temperature elevate ed a cui non erano assolutamente abituate. Nonostante la QVA, ente dell’emirato responsabile per la pallavolo, avesse poi concesso l’utilizzo del bikini, Karla Borger e Julia Sude avevano comunque deciso di non prendere parte a questo evento.
Questi due episodi sono storie di donne che si scontrano contro una realtà incompatibile e che prendono posizione nel tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica su argomenti che dovrebbero avere molto più rilievo. Tutte e tre hanno scelto la dignità personale: quando un regolamento va a ledere la persona e la sua dignità, evidentemente è un regolamento che va rivisto in toto.
Per ultima, abbiamo una storia che sta ormai monopolizzando buona parte dei media: quella riguardante il tennista serbo Novak Đoković ed il governo australiano.
Quanto accaduto è noto a tutti: lui, non vaccinato, entra comunque in Australia per partecipare agli Australian Open. Il 5 gennaio 2022 Đoković viene fermato dalla polizia di frontiera a Melbourne, causa irregolarità sul suo visto d’ingresso. Viene subito messo in isolamento e la Federal Circuit and Family Court of Australia accoglie il suo primo ricorso ma, a causa di false dichiarazioni nella domanda per il visto d’ingresso, il ministro per l’Immigrazione australiano Alex Hawke ne conferma l’annullamento.
Il secondo ricorso viene rifiutato e Đoković deve lasciare il paese (e non ci potrà tornare per tre anni). Al momento, l’opinione pubblica è nettamente divisa riguardo a questa vicenda. Inoltre, i legali del tennista serbo sarebbero pronti a chiedere un cospicuo risarcimento nei confronti dell’Australia e del circuito Open riguardo al modo in cui il campione era stato trattato a Sydney.
Apparentemente, le prime due storie sono completamente diverse dalla terza. Tuttavia, quando si parla di regole, gli sportivi (o comunque le personalità di rilievo) dovrebbero essere i primi a seguirle dando così il buon esempio. Nel caso della scacchista e delle pallavoliste, però, si andava contro a regole che minavano la dignità e la libertà personale delle atlete.
Partecipare a una partita di scacchi completamente coperta o giocare una partita di beach volley internazionale con una divisa diversa coprente sotto il sole ed a temperature elevate, sono due ragioni più che valide – specialmente per donne e persone provenienti dall’Europa – per protestare e rifiutarsi di seguire le regole imposte, a costo di rinunciare a titoli e denaro.
Un altro paio di maniche, invece, è decidere di non seguire una regola che va a tutelare la salute delle persone durante una pandemia. Se per entrare in Australia serve la vaccinazione oppure un certificato medico che dichiara l’impossibilità di sottoporsi al vaccino, è assurdo cercare vie traverse e presentarsi comunque senza vaccino e senza tale certificato. Si tratta di pura e semplice parità: se Đoković fosse stato ammesso nel paese, allora è logico dire che anche tutti coloro senza vaccino per scelta avrebbero dovuto essere ammessi in Australia senza problemi. Il fatto di essere uno sportivo di alto livello non deve essere un qualcosa che permette all’atleta in questione di avere una corsia preferenziale.
In fin dei conti, la legge deve essere uguale per tutti. Ovviamente, quando questa non va a ledere la dignità delle persone. E, di certo, una scelta personale in una situazione di pandemia non è al pari delle proteste contro la disuguaglianza di genere nei paesi arabi.
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